La storietta dei merletti di Burano (Ormoz)

Ormoz è una città della Slovenia ed è da lì che venivano gli Ormesini chiamati nella città d’acqua da famiglie facoltose della nobiltà veneziana. Venivano chiamati per la preziosità delle trine e dei pizzi che quegli slavi sapevano intessere con abilità raffinata. Anche la famiglia dogale si rivolgeva a loro per abbellire abiti e corredi (coeti e damani). Intere famiglie di artigiani venivano ospitate nella stagione invernale in quel tratto di fondamenta posta fra l’Abazia della Misericordia e il convento delle Capusine.

Ma come?! La serenissima repubblica chiamava a Venezia dei merlettai foresti quando nell’isola di Burano si era creata un’arte che veniva ritenuta la più alta espressione nel campo della tessitura al tombolo o al telaio. Collari, fazzolettini, centrini, ventagli o tovaglie che le Buranelle eseguivano con l’inimitabile punto in aria e punto rosa erano contesi dai nobili di tutte le corti europee. Persino il re di Francia Luigi sedicesimo indossava con ostentata superbia un collare di trine che Marimori, il sospiroso poeta, descrisse come un alito d’aria, impalpabile spuma…

Bè tutto molto affascinante ma non corrispondente a realtà. Vorrei ora sfatare con questa storietta, che più che una storietta è cronaca nascosta, così vera da non poter essere creduta. Cominciamo dal nome merletto che non va inteso nel senso spiegato con le scemenze del capitoletto precedente ma con il significato di piccolo merlo. I merletti non sono nient’ altro che dei piccoli merli. La tecnica per realizzare le trine era invero molto raffinata. Consisteva nel creare su di un piano in legno levigato un percorso, con dei minuscoli semi di lino che tracciando il disegno dell’opera che si voleva realizzare. A 3, 6 o 8 millimetri dal ripiano (i tre cieli) veniva steso il tessuto in lino, seta o cotone, a quel punto venivano liberati i piccoli merli che, ghiotti divoratori di semi di lino si precipitavano sul piano forando con il loro becco il tessuto e creando, ammirevole fusione di arte, istinto, genialità, animalità e intelletto quei capolavori che solo i potenti potevano permettersi di possedere ed esibire con superbia.

I merli in questione dopo aver realizzato il loro capolavori e riempito il loro stomaco venivano liberati. Ad un certo punto in un infausto momento i merletti scoprirono che nelle barene attorno all’isola di Burano, che ancora cosi non si chiamava (il nome non è del tutto certo ma si riporta il nome di isola Pacagnella o delle Sette Fedi) un’erba, l’erba Amia. Quest’erba o alga (ora non si trova più), avesse delle proprietà astringenti, e prima che la specie auto-generasse i rimedi, i merletti divennero irrimediabilmente stitici. Si cari amici, mi si consenta un’espressione volgare, i merli non cagavano più. Deperivano. Avevano smesso persino di cantare e naturalmente di beccare i semi. .

Ecco spiegato perché i raffinati gentili veneziani chiamarono e ospitarono a Venezia gli Ormesini.

Finì quindi la professione delle merlettaie? No, ecco come andò: Il ritorno dell’arte, dopo un sofferto periodo, avvenne grazie alla geniale intuizione di un’anziana maestra merlettaia: Ciencia Scarparola. (a lei è intitolato il museo del merletto tuttora esistente in Piazza Galuppi). Considerata una sorta di strologa benefica Ciencia Scarparola scovò il rimedio. Utilizzando dei sottili mondadenti la maestra lubrificò l’ano dei volatili e piccoli merli tornarono ad evacuare. Da questo fatto nacque il nuovo nome dell’isola: burro-ano… Burano; i merletti dell’isola riguadagnarono la rinomanza che ancor oggi li distingue.

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