Amor Silvano

Diobonocheneso viveva afflitto da un feroce complesso a causa dello strampalato nome che i genitori gli avevano affibbiato. Fu un incidente: si dice infatti che il padre, ubriaco, sbottò con questa esclamazione (Dio bono che ne so?!) quando il prete gli chiese come volevano chiamarlo.
Immaginate i lazzi e i motteggi a cui venne sottoposto durante e oltre il periodo adolescenziale da amici e compagni di studio.
A causa di questo complesso che lo affliggeva cadeva sovente in profonde depressioni. Quando questo succedeva, i suoi studi, stava preparando una tesi sulla storia medioevale, andavano a rilento e la capacità di concentrarsi era molto vicina allo zero.
Per lenire il disagio aveva elaborato un sistema, non proprio uno stato di stupore enantomorfico ma qualcosa di simile. Aveva preso l’abitudine di cercare nei segni e disegni nelle piastrelle del pavimento della sua stanza: volti, figure d’animali, costellazioni, pianeti o odalische…e in quello stato pseudo ipnotico immaginava storie ed avventure che prendevano spunto e inizio dalle figure delle piastrelle.
Una delle figure che Diobonocheneso colse in una delle sue ricerche mesmerizzanti fu il volto di un giovane cavaliere medioevale dai tratti aristocratici che lasciavano trasparire dolore e sofferenza…

AMOR SILVANO
Il sole si apprestava a rimettere il proprio potere al buio della notte.
Nel giardino di un castello una pulzella, giovane ed incantevole, sorrideva schernendosi turbata. Causa di questo suo turbamento erano i versi e le garbate canzoni che due giovani cavalieri, Boldano e Licinio, le dedicavano in una sorta di cortese tenzone. Quando la campana della torre d’oriente annunciò il vespro i giovani si accinsero a rientrare. Licinio trattenne la fanciulla per un braccio: “Devo parlarvi Aletha…non posso più trattenermi” disse sottovoce.
“Io, io vi amo” la fanciulla si schernì respingendolo.
“Mia diva, vi scongiuro. Concedetemi un bacio. Almeno un bacio”
La giovane reagì terrorizzata dimenandosi “Lasciatemi Licinio lasciatemi. Mi fate male”
Posseduto da un demone folle il giovane estrasse lo stilo e pugnalò più volte la fanciulla che si accasciò tra le viole del giardino. Ne schiacciò alcune e se ne dispiacque. Questo fu il suo ultimo pensiero.

LA SELVA
Dall’alto di un’altura accanto al suo destriero Boldano scrutava la vallata. Più o meno al centro di questa, una grande selva oscura si estendeva minacciosa.
“Sì. Licinio e nascosto lì. Lo percepisco” si disse Boldano.
Montò in sella e si lanciò al galoppo.
Giunto al limitare del bosco si lanciò con rabbia cercando un varco. I rami, mossi da una volontà misteriosa si giustapposero impedendogli l’entrata. Boldano estrasse la spada e cominciò a menar fendenti per tagliare i rami. Appena recisi gli arbusti si ricomponevano in un trama ancor più compatta. Il cavaliere dopo innumerevoli tentativi cadde spossato sul manto erboso. Quando si destò, un uomo anziano con una leggera barba bianca lo stava osservando. Portava uno strano copricapo fatto di grandi foglie intrecciate. I fianchi cinti da un succinto perizoma. Un lungo bastone sul quale si poggiava.
“Seguimi” disse in tono perentorio.
Boldano lo seguì entrando in un capanno fatto di rami, paglia e fango. All’interno mille ampolle, vasi e recipienti di ogni foggia e grandezza contenenti erbe, bacche, insetti e biscie.
“Io voglio entrare nella selva per..” disse il giovane.
“So benissimo cosa vuoi fare”, così pose fine al dialogo il Signore delle piante.
Il vecchio aveva girato le spalle al giovane e sceglieva erbe ed essenze dai vari contenitori per porle in un mortaio.
“Ascoltami giovane uomo: la selva è come una donna. Una donna appassionata e desiderosa d’amore. Come ogni donna, vuole essere corteggiata e desiderata.. e, se tu la guarderai con occhi diversi, ti rivelerà la sua bellezza. Ci vorrà, forse, un po’ di tempo. Ma puoi restare qui nella mia misera tana.”
Da quel momento iniziò da parte di Boldano un nuovo modo di considerare la Selva. Al sorgere del sole iniziava il suo pellegrinaggio attorno al bosco. Il Vecchio aveva ragione: i colori delle piante ma anche le forme degli alberi andavano cambiando, risultando meno minacciosi. Le infinite varietà di bruni e verdi creavano un’armonica, seducente composizione. I suoni provenienti dall’interno si fecero dolci e festosi.
“Vecchio, avevi ragione. La Selva non mi appare più chiusa ed ostile. Pensi che ora io possa entrarvi e compiere la mia vendetta?”
“Non ancora. Frena il tuo impeto. Tu sai come si conquista una donzella. Tu sai comporre canzoni e fini poesie…questo lei vuole.”
E questo fece Boldano.
Ora la Selva mostrava all’esterno la sua parte più bella: fiori dai colori inimmaginabili. Felci e muschi odorosi con gradazioni di verde impensabili.

Un tepido pomeriggio di Maggio il giovane si addormentò nello spazio erboso che divideva dal capanno dalla selva. Non erano passati che pochi minuti che fu risvegliato bruscamente da un tocco attorno al collo, sulle labbra e sul sesso che si era enfiato. Un rampicante con dei fiori rossi simili a campanule lo stavano avvinghiando ed accarezzando.
Con una reazione istintiva si liberò del rampicante che si ritrasse velocemente nella boscaglia.
Si precipitò nel capanno e spiegò al Signore delle piante quanto era accaduto.
Senza girarsi e continuando a manipolare le sue erbe il Vecchio sentenziò: “È avvenuto. Ne ero certo. Ora puoi entrare e, forse, portare a compimento la tua vendetta..”
“Ti ringrazio Vecchio. Ti ringrazio.”
“Lascia perdere i ringraziamenti, canneto! C’è una condizione da rispettare. Vedi questa corda? Disse il signore delle piante indicando una fune arrotolata poggiata sul bancone. Tu dovrai usarla per legare Licinio strettamente e condurlo qui. E qui, davanti a me, potrai ucciderlo”.
Il giovane si preparò, pose la corda ad armacollo e si accinse ad entrare nella selva. La vegetazione cedette facilitandogli l’entrata. Un sentiero si aprì magicamente e lo condusse in poco tempo al cuore del bosco. Prima ancora di vederlo Boldano udì le urla dell’odiato nemico. Eccolo infine ai piedi di un grosso albero. Rattrappito e tremante, la pelle graffiata e offesa da staffilate e percosse. Licinio non oppose resistenza quando Boldano, trattenendo il proprio istinto, lo legò strettamente per condurlo al capanno del Signore delle piante.
“Eccolo” disse scaraventando Licinio a terra. Sguainata la spada si rivolse al Vecchio.
“Ora lo uccido.” La sua voce era screziata da una lieve esitazione. Alzò la spada per menare il fatale fendente.
“Fermati Boldano!” La voce imperiosa del Vecchio lo bloccò. Abbassando lentamente il ferro il giovane lo guardò interrogativamente.
“La tua vendetta non ha più senso. La corda con la quale hai legato Licinio ha cancellato irreversibilmente ogni sua memoria, e questo nega ogni possibile espiazione…”
Lo sguardo smarrito rivolto al vuoto più assoluto, Licinio era uscito da ogni forma possibile di coscienza.
Boldano brandì la spada contro il Vecchio, il corpo tutto, scosso da un incontrollabile tremore. L’urlo lancinante deflagrò per tutta la vallata e bestie impaurite risposero manifestando la loro partecipazione.
Boldano si congelò per pochi attimi prima di gettare l’arma e uscire precipitevolissimevolmente dal capanno.
Non riuscì a fare che pochi passi. Un rampicante uscito dalla selva lo agganciò alle caviglie facendolo cadere. Accompagnata da un sibilo agghiacciante lo strinse avvinghiandosi attorno al corpo e raggiunto il collo provocò la morte del giovane fedifrago.

LA RICONGIUNZIONE
“Ora non ho più rivali e la selva non sa restare senza amante”
Così pensò il Signore delle piante: si lavò con cura, si cosparse di unguenti odorosi. Rinnovò il copricapo con nuove foglie colorate. Cinse i magri fianchi con un candido perizoma, prese il lungo bastone e con ieratico incedere si diresse verso la Selva che si aprì accogliendolo. Spirò un caldo vento che fece vibrare la vegetazione: un sospiro.

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